Sono Michela, originaria dell’Emilia,  ho 3 bambine: Antea di 4 anni, Mia e Noa due gemelle di due mesi e mezzo.

La mia prima bambina  è nata nella nostra casa in Umbria con l’assistenza di due ostetriche Giovanna e Diana mentre le due gemelle sono nate in ospedale, quindi posso dire di avere provato entrambe le esperienze di parto, quella “casalinga” che preferisco di gran lunga,  e quella “ospedalizzata”.

Purtroppo con le mie due gemelle per tante ragioni diciamo “tecniche” non ho potuto rifare la scelta del parto in casa sebbene abbia, specialmente nei primi mesi, considerato anche questa possibilità. Credo comunque che il come ho vissuto la prima gravidanza e il primo parto , ovvero cercando di vivere questo momento con la maggior consapevolezza e presenza possibile, abbia inciso molto positivamente anche sul secondo parto (che comunque sia ho fortemente voluto fosse vaginale e non cesareo come accade ormai di prassi per  con i gemelli). La scelta di partorire in casa ha coinciso per me con un cambio di direzione complessiva della mia vita , ovvero con un cambio di luogo di residenza prima di tutto ma anche di stile di vita: lasciato il lavoro che svolgevo in Emilia, io e mio marito Roberto, abbiamo intrapreso un percorso di vita improntato ad una maggiore attenzione verso noi stessi e verso l’ambiente iniziando così una ricerca  interiore ed esteriore rivolta alla scoperta dei nostri sogni, infatti anche se abbiamo io 45 e lui 40 anni proviamo a riconoscere e andare incontro ad aspirazioni vecchie e nuove . In questo quadro rientra anche il desiderio di vivere il diventare mamma nella maniera più naturale possibile, cercando di sapere di più, di provare, di sentire che cosa significa portare una vita dentro di sé e darla alla luce, senza sentirsi delle “sorvegliate speciali” da parte di professionali distanti a questo  nostro sentire.

In Emilia Romagna esiste una legge che tutela la scelta di partorire in  casa mettendo a disposizione della donna due ostetriche dell’asl, quindi sarebbe stato forse più semplice per me partorire lì , invece , decidendo di  trasferirci in Umbria al settimo mese di gravidanza abbiamo dovuto esplorare questo territorio e per fortuna –dico ora – ho potuto conoscere una realtà a me totalmente sconosciuta di donne , sia mamme sia ostetriche, molto attente ed in prima linea nel salvaguardare il diritto della donna a scegliere come e dove partorire e dei bambini di nascere in un ambiente caldo, rispettoso e pieno di amore e di emozione nell’accoglierli.

Ho così incontrato Diana e Giovanna con le quali  ho cominciato a prepararmi al parto , è stato molto bello sentire di essere accompagnate da una persona che oltre a essere competente tiene conto e si interessa alla tua storia, non solo al tuo presente e al tuo stato di salute ma anche alle tue emozioni e al tuo modo di essere.

Tutto ciò non significa che anche partorendo in ospedale non si possano creare relazioni positive e solidali e fare esperienze di parto diciamo “normali” fisiologiche (non trovo un altro termine),  tuttavia  a mio avviso l’intimità , il crearsi un proprio spazio  e soprattutto il rispetto dei  propri tempi (durante e prima del parto) credo che siano delle componenti del tutto assenti nell’ esperienza ospedaliera.

Partorire è sempre un’esperienza di apertura, di incontro a vari e molteplici livelli che penso varino per ogni donna, quello che posso dire è che secondo me partorire in casa o comunque in ambiente non ospedaliero e accompagnati da una figura di sostegno personalizzata significa vivere un’esperienza più ricca, più intensa, in poche parole più umana e a misura di donna. Altro aspetto altrettanto importante e che va a  con questo è quello di essere molto aiutate ad entrare subito in relazione con il  proprio bambino fuori dalla pancia,  con meno interferenze, meno interventismo in-necessario, più pace, più presenza.